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Web Evolution – La nuova alchimia digitale corre nella rete

Web evolution – La nuova alchimia digitale corre nella rete

L’evoluzione di Internet – La nuova alchimia digitale corre nella rete. Dal Web 1.0 al Web 3.0  percorso evolutivo che conduce all’Intelligenza Artificiale .

Da Aristotele al Web di massa

Nella complessità in cui viviamo il Web 2.0 sembra venire incontro a due delle nostre necessità primarie: la comunicazione e l’interazione. Come scrisse Aristotele nella sua Politica,

“l’uomo è un animale sociale”

tende per natura ad aggregarsi con altri individui e a costruirsi in una rete di rapporti sociali. Tuttavia, per creare quello che oggi definiamo comunemente un network è indispensabile che gli individui comunichino tra di loro, scambiandosi informazioni. E cosa c’è di più potente del Web 2.0 per far sì che idee, creatività, ed esperienze di vita possano incontrarsi, intrecciarsi e diffondersi?

Differenze e confronti con il Web 1.0

Il Web 2.0 costituisce anzitutto un approccio filosofico alla rete che ne connota la dimensione sociale, della condivisione, dell’autorialità rispetto alla mera fruizione: sebbene dal punto di vista tecnologico molti strumenti della rete possano apparire invariati (come forum, chat e blog, che “preesistevano” già nel web 1.0) è proprio la modalità di utilizzo della rete ad aprire nuovi scenari fondati sulla compresenza nell’utente della possibilità di fruire e di creare/modificare i contenuti multimediali.

Sebbene potenzialmente in nuce nello stesso paradigma di rete, che si nutre del concetto di condivisione delle risorse, rappresenta la concretizzazione delle aspettative dei creatori del Web, che solo grazie all’evoluzione tecnologica oggi costituiscono una realtà accessibile. La possibilità di accedere a servizi a basso costo in grado di consentire l’editing anche per l’utente poco evoluto, rappresenta un importante passo verso un’autentica interazione e condivisione in cui il ruolo dell’utente è centrale.

Nel descrivere le caratteristiche del Web 2.0 si procede spesso per confronto con il Web 1.0, indicando come nel passaggio di versione gli elementi fondamentali si siano evoluti o siano stati sostituiti da nuovi. Si tratta dunque di un modo di rappresentare il Web 2.0 divulgativo e non prettamente tecnico, ma piuttosto efficace per riconoscere l’evoluzione dei sistemi su Internet.

Alcuni sostengono che nell’epoca del Web di massa trovare ciò di cui si ha bisogno sia sempre più difficile, ma ancor più difficile sia valutarne l’attendibilità. Chi è di questo parere teme l’ideologia del Web 2.0 – quello per intenderci dei blog e social network – perché preconizza la scomparsa dei cosiddetti intermediari dell’informazione (giornalisti, testate, intellettuali, editori, etc) che potrebbero soccombere definitivamente sotto i colpi della swarm intelligence, l’intelligenza delle folle.

Questa visione dialettica della rivoluzione digitale in atto non apprezza uno degli effetti più importanti e innovativi dell’avvento del Web 2.0, cioè che chiunque può essere autore ed editore di se stesso. Per gli scettici le opportunità del Web 2.0 godono di una luce soffusa e quello che si presenta come una risposta concreta a un’istanza egualitaria, diventa un prodromo del caos e della deriva informativa.

Comunque la si pensi è innegabile che il Web abbia preso da tempo una nuova direzione: fermiamoci allora un istante a riflettere sulle caratteristiche del Web 2.0. Solo così, infatti, sarà possibile comprenderne l’utilità e partecipare con una maggior consapevolezza alla crescita di internet e quindi non più come semplici fruitori delle informazioni, ma come veri e propri artefici del cambiamento.

Il neologismo Web 2.0 è di Dale Dougherty, vicepresidente della O’Reilly Media, ed è stato ufficializzato nella prima Web 2.0 Conference, promossa nel 2004 dalla stessa O’Reilly Media. Il termine si riferisce a un’attitudine alla collaborazione e condivisione di contenuti, abilitata da sistemi software sviluppati per supportare l’interazione in rete. Quest’approccio evolutivo è basato sull’utilizzo del Web come piattaforma.

Ora, il problema è che né Dale DoughertyTim O’Reilly (a capo della O’Reilly Media) hanno formulato una definizione puntuale del Web 2.0. Il Web 2.0 segna l’evoluzione del World Wide Web di Tim Berners-Lee e Robert Cailliau da una serie collegata di siti statici a un ambiente globale nel quale i software online, le connessioni a banda larga e le applicazioni multimediali offrono contenuti più ampi e un’interazione più stretta fra gli utenti.

In questo scenario, l’assenza di una definizione unica ha contribuito ad alimentare un dibattito internazionale – tuttora in corso – che ha accresciuto ulteriormente l’interesse intorno al termine Web 2.0. Dall’analisi delle dichiarazioni di Tim O’Reilly e John Battelle e dai continui aggiornamenti della letteratura corrente digitale e cartacea, dei blog e degli addetti ai lavori, è possibile riassumere le peculiarità del Web 2.0 in questo decalogo:

  • Il Web è una piattaforma. Dai software installati sul pc degli utenti si arriva ai software-servizi accessibili online. Dati e software che li analizzano sono tutti online, non più scorporati.
  • Il Web è funzionalità. Si compie la transizione dei siti web da silos d’informazione a fonti di contenuto e servizi.
  • Il Web è semplice. Si facilita l’accesso e l’utilizzo dei servizi web anche da parte degli early adopter, utilizzando interfacce utente leggere e user friendly.
  • Il Web è leggero. I modelli di sviluppo, i processi e i modelli di business diventano leggeri. La leggerezza è connotata dalla condivisione di contenuti e servizi intuitivi e di facile utilizzo.
  • Il Web è social. Le persone sono, fanno e popolano il Web, socializzando e integrando la propria vita fisica a quella online attraverso l’uso costante dei vari social network (Facebook, Twitter, Pinterest, Instagram, Google+, LinkedIn, Foursquare, etc).
  • Il Web è flusso. Viene data fiducia agli utenti come co-sviluppatori e si accetta di vivere una  condizione di “beta perpetuo”.
  • Il Web ha la coda lunga. Si fa leva sul potere della Long Tail attraverso il customer self-service e sulla gestione di dati algoritmici per raggiungere l’intero Web: le periferie e non solo il centro, la coda lunga e non solo la testa. Il modello Long Tail si ripercuote anche sui produttori di contenuti, in particolare su quelli i cui prodotti – per motivi economici – erano tagliati fuori dai canali di distribuzione pre-internet controllati dalle case editrici, dalle case discografiche, dalle case di produzione cinematografiche e dalle reti televisive. Dal punto di vista dei produttori, la coda lunga ha generato un fiorire di creatività in tutti i campi dell’ingegno umano.
  • Il Web è mixabile. La diffusione di codici per modificare le applicazioni web permette a tanti smanettoni, non necessariamente professionisti dell’informatica, di mixare un’applicazione con un’altra per  ottenerne una terza. È questa la potenza del Web 2.0, una catena senza fine d’incroci (in gergo, mashup).
  • Il Web è partecipativo. Si adotta un’architettura di partecipazione che incoraggi gli utenti ad aggiungere valore e co-creare contenuti.
  • Il Web è nelle nostre mani. S’implementa l’organizzazione e categorizzazione dei contenuti, enfatizzando l’interazione mirata, mediante deep linking. Grazie a fenomeni come il social tagging i contenuti sono sempre più facilmente raggiungibili.

Sembra scontato, ma nell’epoca in cui viviamo il Web 2.0 può essere solo un’opportunità. Uno spazio in cui idee, creatività, informazione e collaborazione sono variabili che incorporano infinite possibilità d’essere, infinite combinazioni possibili, infiniti mondi esplorabili. Ed è proprio in questi molteplici intrecci che si genera il valore. Il valore della collettività, delle comunità, delle relazioni e dei contenuti su cui esse si fondano.

Il Web 3.0 – Ecco come cambia la rete

Il termine Web 3.0 è apparso per la prima volta agli inizi del 2006 in un articolo di Jeffrey Zeldman critico verso il Web 2.0 e le sue tecnologie associate come AJAX.

Nell’agosto 2007, l’agenzia digitale brasiliana CUBO ha definito il Web 3.0 come l’abilità per i clienti di comunicare con le aziende, sia in maniera diretta utilizzando blog e altre applicazioni Web 2.0, che in maniera indiretta, come se fossimo i possessori di dati psicografici analizzati dal Web semantico e da altri strumenti di marketing come Microtargeting/Silent Marketing.

Il termine Web 3.0 è diventata una materia di crescente interesse e dibattito a partire dalla fine del 2006 sino a 2007.

Trasformare il Web in un database

Il primo passo verso un “Web 3.0” è l’emergere del “Data Web” visto che gli archivi di dati strutturati sono pubblicati sul Web in formati riutilizzabili e “interrogabili” da remoto, come XML, RDF e microformati. La recente crescita della tecnologia SPARQL fornisce un linguaggio di query standardizzato e l’API per la ricerca attraverso database RDF distribuiti nel Web.

I Data Web permettono un nuovo livello di integrazione e di interoperabilità delle applicazioni, rendendo i dati disponibili a tutti e “linkabili” come se fossero pagine Web. Il Data Web è il primo passo verso il vero e proprio Web semantico. Nella fase di Data Web l’attenzione è principalmente rivolta verso la strutturazione di dati disponibili utilizzando l’RDF.

Nella fase successiva di Web semantico il raggio verrà ampliato in modo che sia i dati strutturati che quelli che tradizionalmente sono considerati contenuti non strutturati o semi strutturati (come pagine Web, documenti, ecc.) saranno disponibili in larga misura in formati semantici RDF ed OWL.

web evolution

Un percorso evolutivo verso l’intelligenza artificiale

Il Web 3.0 è stato anche utilizzato per descrivere un percorso evolutivo per il Web che conduce all’Intelligenza Artificiale capace di interagire con il Web in modo quasi umano. Alcuni scettici credono invece che ciò sia impossibile da raggiungere. Nonostante ciò, aziende come IBM e Google stanno implementando nuove tecnologie che stanno ottenendo informazioni sorprendenti come prevedere le canzoni più scaricate, attraverso il data mining, sui siti Web universitari.

L’archiviazione e lo studio delle informazioni che riguardano l’interesse espresso durante la navigazione da parte di un software evoluto oppure la possibilità di trasferire sensazioni, esigenze, gusti e comportamenti, nel campo medico, metterebbero le macchine nelle condizioni di poter assistere e contemporaneamente supportare coloro che per problemi di salute non possono essere autosufficienti.

C’è anche un altro dibattito sul fatto che la forza trainante dietro il Web 3.0 saranno i sistemi intelligenti oppure se l’intelligenza verrà fuori in maniera più organica, da sistemi di persone intelligenti, come per esempio attraverso servizi di filtraggio collaborativo come del.icio.us, Flickr e Digg che estraggono il significato e l’ordine dal Web esistente ed il come le persone vi interagiscono.

La realizzazione del Web semantico e del SOA

In linea con l’Intelligenza Artificiale, il Web 3.0 potrebbe costituire la realizzazione e l’estensione del concetto di Web semantico. I ricercatori accademici stanno lavorando per sviluppare un software per il ragionamento, basato sulla logica descrittiva e sugli agenti intelligenti. Tali applicazioni possono compiere operazioni di ragionamento logico utilizzando una serie di regole che esprimano una relazione logica tra i concetti ed i dati sul Web.

Srmana Mitra sostiene invece che il Web semantico potrebbe essere l’essenza della prossima generazione dell’Internet e propone una formula per incapsulare il Web 3.0.

Il Web 3.0 è stato anche messo in relazione ad una possibile convergenza di un’architettura Service-oriented e del Web semantico.

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